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Provincia Autonoma di Trento - Servizio per il Sostegno Occupazionale e la Valorizzazione Ambientale

 
 
 

Testimonianze

La storia di Paolo

Paolo, "Il mio lavoro tra i profughi; anzi, tra amici"

"Quando sono andato in pensione, il mio referente (Paolo Garniga, direttore Nircoop, ndr) mi ha mandato una lettera per ringraziarmi per il mio impegno sul lavoro. Io gli ho risposto: 'Guarda che per me gli ultimi mesi non sono stati un lavoro, ma andare a trovare degli amici'." Così esordisce Paolo, "fresco" pensionato trentino, nella nostra chiacchierata nel luogo che fino a poco tempo fa era il suo "ufficio": la residenza Fersina a Trento, centro di Prima accoglienza dei richiedenti protezione internazionale.
Non è un caso trovarlo qui; Paolo viene ogni settimana a salutare le persone accolte o, come preferisce chiamarle egli stesso, "i suoi amici". Quando entra nella struttura di via al Desert, gli si fanno incontro anche gli ex colleghi e gli altri operatori dell'accoglienza. Per parlare dei tanti mesi trascorsi alla "Fersina" ci sediamo in sala mensa. Siamo a metà mattina: molti profughi sono ai corsi di italiano, alcuni sono impegnati in altre attività, fra le quali pulire il giroscale e gli altri spazi comuni; altri cercano un po' di casa nel telefonino e riecheggiano fino a noi melodie dal sapore "esotico". Mentre dialoghiamo con Paolo gli scattiamo qualche foto. Non è certo buona educazione, ma le espressioni del suo viso raccontano meglio delle parole un luogo di lavoro diventato quasi una seconda famiglia. Tutto è nato per caso, o quasi: mancava poco alla pensione e quando la Provincia, nell'ambito del "Progettone", gli ha proposto di impegnarsi nell'accoglienza dei richiedenti asilo Paolo ha coniugato l'entusiasmo con la curiosità. "Inizialmente pensavo di lavorare sulle ciclabili - ci racconta - ma poi mi hanno proposto questo impiego e io ho detto: tentiamo, voglio provare ad andare dai profughi. È stata una bellissima esperienza. Il primo periodo non è stato facile, ma dopo due/tre mesi tutto è andato per il meglio. Ho capito che le persone accolte hanno bisogno di un punto di riferimento e col tempo fra noi - ci spiega Paolo con gli occhi lucidi - si è creato un dialogo tale che oggi, da pensionato, vengo periodicamente qui a trovare i miei amici". Paolo ci racconta qualche episodio della quotidianità alla "Fersina": "Tra i migranti accolti alcuni sono più volenterosi e intraprendenti, altri meno, ma in generale sono persone che si accontentano di poco.
A volte sento pronunciare cose feroci sui profughi (qui non le riportiamo, ndr), ma io dico: bisogna conoscerli e capire la loro situazione. Io sono un pensionato e non faccio 'grandi salti'; mi gestisco con quello che ho e sono contento perché tutto sommato sto facendo una bella vita. Quindi, guardando al vissuto di questi migranti, non mi posso lamentare. Ricordo che in uno degli ultimi arrivi qui alla 'Fersina' i profughi sono scesi devastati dal pullman; dopo aver affrontato il viaggio sul barcone sono giunti sin qui vestiti con indumenti di recupero, delle tute bianche o qualcosa del genere". Invitiamo Paolo a "fare un giro" nella struttura per incontrare i tanti amici che non lo hanno visto entrare. Le strette di mano, gli abbracci e i sorrisi rendono la ex caserma meno austera. Entriamo anche in qualche camera; non si ha l'impressione di violare la privacy di qualcuno, ma di portare un amico da amici. È più titubante, Paolo, quando gli chiediamo di "buttarci" nelle aule dei corsi di lingua e cultura italiana. Teme di disturbare, ma una volta entrati gli sguardi fra i banchi dicono il contrario. Tra vocaboli e grammatica lo si trova il tempo per salutare un caro amico, ma noi non vogliamo approfittare troppo della gentilezza delle insegnanti dell'Ati, composta da cooperativa Samuele, cooperativa Arcobaleno e associazione Fili. Usciamo dall'aula e incontriamo Paolo Facinelli della cooperativa Kaleidoscopio, responsabile della struttura, mentre dialoga con alcuni operatori in uno dei tanti briefing per "sintonizzarsi" sulla logistica, sulle attività di valorizzazione del tempo libero, sul rispetto delle regole e sui piccoli problemi che nella quotidianità della convivenza possono sorgere; problemi ai quali rispondono le diverse professionalità della rete dell'accoglienza.
Usciti sul piazzale, si intravede in lontananza l'orto coltivato dalle persone accolte. È spoglio, ma un operatore della struttura ci assicura che nella bella stagione tornerà a "risplendere" di ortaggi freschi. Negli ampi spazi davanti alla "Fersina" c'è sempre movimento: operatori della Croce Rossa, volontari e, naturalmente, alcuni profughi. C'è anche Elena Rinaldi (anche lei della Nircoop), referente della Prima e Pronta accoglienza, settore quest'ultimo che risponde h24 al coordinatore del Cinformi che riceve le comunicazioni del Commissariato del governo - a volte con preavviso di qualche ora - circa l'arrivo di nuovi profughi inviati in Trentino dal Ministero dell'interno. Persone alle quali la Pronta accoglienza (cooperativa Arcobaleno, Nircoop e volontari della Croce Rossa) deve garantire, secondo quanto richiesto dallo Stato, una sistemazione talvolta "oggi per oggi". Per gli operatori della Pronta accoglienza - come per tante persone della rete, a tutti i livelli - il concetto di "orario di lavoro" è quindi relativamente elastico; decisamente più stabile, invece, la quotidiana passione nell'andare oltre il proprio dovere. Torniamo da Paolo e gli chiediamo cosa porta con sé dell'esperienza lavorativa nel "Progettone", come operatore Nircoop, con i profughi. "Un grande arricchimento personale", ci risponde. "Queste persone non hanno niente ma stanno ugualmente bene; hanno solo bisogno di riferimenti e qui glieli abbiamo dati. La realtà di Trento è molto differente da ciò che si vede nei servizi televisivi sul contesto italiano. Certamente - aggiunge Paolo - non è stato tutto 'rose e fiori', soprattutto all'inizio, quando il sistema delle regole doveva ancora ingranare, intendo dal punto di vista dei migranti. È normale che qualche momento di tensione possa capitare anche qui, ma non ci sono i disordini che si vedono in TV e che accadono altrove.
Alla gente dico: bisogna impegnarsi a conoscere per capire; fra i motivi che spingono queste persone a fuggire non c'è solo la guerra: ci sono anche questioni politiche, razziali e poi ci sono anche i problemi familiari". Ma cosa legge - ed è la nostra ultima domanda - negli occhi delle persone accolte un trentino che per diversi mesi con i profughi ha dialogato, discusso e "convissuto" fino a stringere amicizia? Paolo ci pensa un attimo, ma poi risponde senza esitazione: "Io negli occhi di questi ragazzi leggo che hanno bisogno di trovare un posto tranquillo per poter ripartire e cercare un'opportunità; vedo, in loro, la voglia di fare".

 
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